Geologia delle Dolomiti


Origine del nome

Il nome di Dolomiti alle montagne e di dolomia alla roccia che le costituisce deriva dal suo scopritore, il geologo francese Déodat (o nella sua traduzione francese, Dieudonné) de Dolomieu (1750-1801). Déodat de Dolomieu
A metà del 1789 Dolomieu fece un viaggio in Tirolo assieme al suo discepolo Fleuriau de Bellevuel. In diverse località, nelle vicinanze del Brennero, e sovrapposti al porfido tra Bolzano e Trento rinvennero un tipo di roccia singolare che rassomigliava totalmente al calcare ma che a contatto con l’acido cloridrico non schiumeggiava.
Si trattava infatti di un carbonato doppio di calcio e magnesio MgCa(CO3)2 e non di semplice carbonato di calcio (CaCO3) come nel caso del comune calcare. dolomite
Nel luglio del 1791, nel “Journal de Physique“, Dolomieu pubblicò un saggio intitolato "Su un genere di pietre calcaree molto poco effervescente con gli acidi e fosforescente per collisione" che descriveva il nuovo tipo di calcare.
Su richiesta di Nicolas-Théodore de Saussure, figlio di Horace Bénédict de Saussure, il primo scalatore del Monte Bianco, e naturalista e chimico svizzero, il 31 ottobre 1791 gli fece pervenire a Ginevra dodici campioni del minerale.
Dolomieu propose dapprima il nome “Tyrolensis“, per poi cambiare idea quando riconobbe che la pietra appena scoperta non era presente solo in Tirolo.
Nello stesso istante Nicolas de Saussure propose il nome "Saussurite" in onore del padre.
Nel marzo del 1792 sempre nel “Journal de Physique“ apparve un articolo di Saussure dal titolo “Analisi della dolomia“ che anticipò indirettamente il futuro nome.
Anche se questo carbonato doppio di calcio e magnesio descritto nel dettaglio era divenuto noto in passato con un’infinità di denominazioni, da “spato“ a “spato perlato“, questo nome iniziò a prevalere. Dolomieu in persona fu il primo che orgogliosamente ne fece uso.

La regione delle Alpi sarà chiamata Dolomiti solo molto più tardi.
Josiah Gilbert(1814 – 1892), pittore inglese specializzato in ritratti e paesaggi, viaggiò molto nelle Alpi e in particolare nelle Dolomiti che illustrò con disegni e acquerelli diventati famosi.
I viaggi che fece con il naturalista George Cheetham Churchill fra il 1861 e il 1863 furono descritti in "The Dolomite Mountains" (1864), opera fondamentale per l’inizio del turismo nelle Dolomiti. the dolomite mountains
Il nome si diffuse in Italia solo dopo la Grande Guerra, quando questo territorio entrò a far parte del Regno d'Italia.

Delimitazione geografica delle Dolomiti

Normalmente con il termine Dolomiti è solito riferirsi all'insieme di gruppi montuosi, caratterizzati da una prevalente presenza di roccia dolomitica, convenzionalmente delimitati a nord dalla Rienza e dalla Val Pusteria, a ovest dall'Isarco e dall'Adige con la valle omonima, a sud dal fiume Brenta da cui si stacca la Catena del Lagorai al confine con la Val di Fiemme e a est dal Piave e dal Cadore.
L'esistenza delle Dolomiti d'Oltrepiave, situate a est del fiume Piave, nelle province di Belluno, Udine e Pordenone (e anche in parte dell'Austria, in bassa Carinzia), delle Dolomiti di Brenta, collocate nel Trentino occidentale, delle Piccole Dolomiti, fra Trentino e Veneto, e di affioramenti sparsi sulle Alpi (ad esempio la cima del Gran Zebrù nel gruppo Ortles-Cevedale) evidenzia la natura puramente convenzionale di questa delimitazione territoriale.
Le Dolomiti, intese nell'accezione più ristretta, vengono divise in due zone dal corso del torrente Cordevole, (il quale scorre in provincia di Belluno ed è il principale affluente del Piave), in Dolomiti Orientali, ovvero ad est del Cordevole e Dolomiti Occidentali ad ovest del Cordevole.
L'area dolomitica si estende tra le province di Belluno,sul cui territorio sono situati la maggior parte dei gruppi dolomitici, Bolzano, Trento, Udine e Pordenone. confini delle dolomiti

Comunemente si indica la Marmolada come la cima più alta delle Dolomiti, con i suoi 3.343 m s.l.m., ma è da notare come questa formazione non sia affatto costituita da dolomia, bensì in prevalenza da calcari bianchi molto compatti derivati da scogliere coralline, con inserti di materiale vulcanico: quindi a rigore la Marmolada non farebbe parte del gruppo.

Storia geologica delle Dolomiti


La storia geologica delle Dolomiti è molto complessa, ed è proprio questa complessità che ha determinato la varietà di paesaggi ed i contrasti di colori che rendono queste montagne uniche al mondo. E proprio questo contrasto di colori e forme è dovuto alla presenza di rocce resistenti e compatte come le dolomie (di colore chiaro) che portano alla formazione di pareti verticali e vertiginosi torrioni, assieme alle tenere argille, conglomerati, alle scure rocce vulcaniche che formano dolci pendii ricoperti spesso da verdi prati.


La Storia geologica delle Dolomiti inizia circa 270 milioni di anni fa, nel periodo Permiano, quando tutte le terre emerse erano unite in un unico e grande continente: la Pangea.
Il processo litogenico ha inizio quando nella Paleotetide si scatena, a più riprese, una violenta attività vulcanica. Le lave e le colate piroclastiche ricoprono un’area di 2.500 chilometri quadrati, collocabile ora tra l’Arabia e l’Asia; tutto ciò crea un piastrone porfirico, visibile oggi in alcune zone delle Dolomiti. pangea


La zona delle Dolomiti è caratterizzata da un'enorme sinclinale.
La sinclinale in geologia è una piega in cui la curvatura degli strati rocciosi presenta la convessità orientata verso il basso (vedi immagini), nel suo nucleo si trovano rocce più giovani rispetto a quelle degli strati esterni. Da notare che in affioramento, causa l'erosione, gli strati stratigraficamente più antichi si troveranno all'esterno, del nucleo della sinclinale, mentre quelli più recenti si trovano all'interno.
sinclinale sinclinale
Il sinclinale delle Dolomiti è ben riconoscibile nelle immagini riportate sotto. Come si vede, le rocce più antiche (le filladi quarzifere del basamento metamorfico e le ignimbriti del cosiddetto Piastrone Porfirico Atesino) costituiscono i bordi della zona dolomitica (grosso modo a Sud e Nord), mentre le rocce sedimentarie, più recenti, ne costituiscono la parte centrale.

Sinclinale delle Dolomiti Sinclinale delle Dolomiti

Nelle foto successive sono riportate una veduta della zona centrale del gruppo del Lagorai (è ben visibile, al centro, Cima Cece) costituito dalle ignimbriti del cosiddetto Piastrone Porfirico Atesino e (a destra) una veduta (dalla cima del Cardinal) della Cima d'Asta (evidenziata in Verde) che costituisce il batolite intrusivo residuo dell'antico bacino magmatico che alimentò i fenomeni vulcanici della zona nel corso del Permiano inferiore. Tale incremento dell'attività vulcanica si estese a tutte le alpi ed è da attribuire all'orogenesi ercinica. L’'ambiente di deposizione delle ignimbriti del Lagorai (che in alcuni punti raggiungono i 2000 metri di spessore), grazie alla presenza di intercalazione di tufi, arenarie o conglomerati, è da ritenersi subaereo. Un ulteriore conferma dell’ambiente subaereo proviene dal ritrovamento di resti vegetali o ancora dal famosissimo protosauro Tridentinosaurus antiquus studiato da G.B. Dal Piaz e rinvenuto negli anni ’30 nei pressi di Piné.

Piastrone Porfirico AtesinoBatolite di Cima d'Asta
La Terra durante il Permiano superiore

Si forma quindi un paesaggio sassoso, desertico e arido che subisce una lenta erosione e che forma una vasta pianura coprendo il basamento porfirico con un grosso strato di arenaria, nota come Arenaria di Val Gardena. Questa solida roccia a ovest della Val Badia e della Val Cordevole, poggia sullo zoccolo porfirico iniziale, mentre ad est essa giace direttamente su antichissime rocce metamorfiche, dette Filladi Quarzifere. Tra i 260-255 milioni di anni or sono, il mare comincia ad avanzare ad est sommergendo l’ampia pianura. Si formano così lagune dai bassi fondali, nelle quali il clima semi-arido provoca una forte evaporazione che fa depositare solfato di calcio e gesso che coprono le arenarie. Dopo di che, sopra si accumula un altro strato formato da sedimenti di calcare di colore scuro per l’abbondante presenza di sostanza organica: spugne, molluschi, coralli, echimidi e alghe calcaree; testimoniati dai numerosi resti fossili. Questo ultimo deposito viene chiamato Formazione di Bellerophon. Nell’Anisico, alcune zone si sollevano ed emergono dal mare, formando isole, alla fine di tale Era, il margine dell’antico continente subisce un lento sprofondamento, detto fenomeno di subsidenza, rimanendo però un mare costiero e poco profondo. Sul fondale si accumulano via via calcari ed arenarie. Alla fine dell’era Paleozoica, dopo circa 30 milioni di anni, nel corso dei quali si sono verificati continui movimenti tellurici e continue trasformazioni del territorio, che è passato da continente interno a pianura costiera fino al mare: il basamento delle Dolomiti s’era finalmente formato. Per un breve periodo la subsidenza si blocca, emergono alcune isole sottoposte così ad erosione, ma poi il mare torna a coprire il tutto. Il fondale marino diviene maggiormente articolato poiché a zone di mare basso si alternano zone più profonde. Nei fondali più vicini alla superficie la temperatura è più alta (anche grazie al clima tropicale della zona), c’è maggior scambio di ossigeno e vi è una vita rigogliosa con organismi animali e vegetali capaci di fissare grandi quantità di carbonato di calcio. Con l’accentuarsi della subsidenza le irregolarità topografiche del fondale risultano determinati e nelle regioni più prossime alla superficie si formano colonie organogene di coralli, spugne ed alghe calcaree. L’attività di questi organismi è così intensa che i loro depositi di calcare riescono a compensare il fenomeno di subsidenza, raggiungendo anche spessori fino a 2000 metri. Si formano così le piattaforme carbonatiche che quindi sono “edifici” costituiti fondamentalmente da resti di organismi a scheletro o gusci calcarei che vivino in mari caldi, poco profondi e acque limpide. Queste piattaforme riescono ad espandersi in altezza: accrescimento verticale o gradazione; ma anche in larghezza: accrescimento laterale o progradazione; mentre la subsidenza dei fondali circostanti in due o tre milioni di anni raggiunge i 1000 metri. Tali formazioni oggi costituiscono alcune delle più famose montagne dolomitiche quali: lo Scillar, il Latemar, la Marmolada, il Catinaccio, le Pale di San Martino, le Odle, il Putia e la parte inferiore della Civetta. La roccia di cui sono formate è detta Calcare della Marmolada o Dolomiti dello Scillar a seconda della composizione chimico-mineralogica; contemporaneamente, nei profondi bacini adiacenti si accumulano sedimenti detti Formazione di Livinallongo. Catinaccio Latemar Marmolada Odle Pale di S.Martino Puez Scilliar La progradazione è accompagnata dalla caduta di detriti e blocchi che ai lati della piattaforma cadono verso il mare profondo, formando una scarpata. 230 milioni di anni fa si verifica un’intensa e diffusissima attività vulcanica, forse generata dai movimenti crostali successivi alla divisone della Pangea. Le lave basaltiche riescono a farsi strada e raggiungere la superficie, attraverso numerosi dicchi che tagliano le piattaforme. Tutto ciò dà vita a due grossi vulcani, uno nei pressi di Predazzo e uno nei pressi della Val di San Nicolò (Pozza di Fassa), dai quali fuoriesce un’enorme quantità di lava e tufi che si riversa lungo i pendii delle scogliere riempiendo così i bacini marini. Da questo importante avvenimento si formano interi gruppi montuosi: Padòn, Monte Pore, Piz del Corvo, Col di Lana, Cima Pape, il Sottogruppo Colac-Buffaure. Colac-Buffaure Col di Lana Catena del Padon Monte Pore Subito dopo si verifica un brusco abbassamento del livello del mare che determina l’emersione delle scogliere, dei banchi carbonatici e degli edifici vulcanici. Ovviamente le nuove condizioni subaree portano alla fine del delicato ecosistema “di scogliera”, i vari edifici vulcanici vengono spianati dall’erosione e i detriti finiscono di riempire i bacini. In zone più lontane dai vulcani comunque, persistono ampie aree bacinali. Adesso sono dei fenomeni tettonici a sconvolgere la regione: si formano faglie che portano alla deformazione, al piegamento e all’accavallamento delle rocce precedentemente deposte. Probabilmente furono assai comuni terremoti, maremoti e grandi frane sottomarine. Una volta terminata questa turbolenta fase, la zona dolomitica torna ad essere un tranquillo mare tropicale nel quale prosperano i coralli, le alghe e le spugne. Il risultato porta ad una nuova generazione di scogliere e piattaforme carbonatiche, questa volta in età Carnica, dette Dolomia Cassiana: molto meno sviluppata in altezza e più in larghezza, il fondo infatti è più regolare e vi è meno subsidenza. Da queste rocce si sono formate per esempio: il SettSass, il Picco di Vallando e la parte inferiore del Sella. Nei vicini bacini, invece, si vanno accumulando i fini prodotti dell’erosione delle rocce vulcaniche mescolate a particelle calcaree di varia natura: è questa la formazione di San Cassiano, notevolissima per via della straordinaria quantità di fossili in essa contenuti. 224 milioni di anni fa, alla fine del Carnico, un nuovo forte abbassamento del mare determina la fine dello sviluppo delle scogliere e un ulteriore riempimento dei bacini: la regione torna ad essere un’area piatta, in parte marina, in parte costiera. Su questa superficie si deposita la Formazione di Raimbl, di spessore modesto e dal vivace colore rosso-verde. È costituita di questi sedimenti la cengia che taglia tutto il Sella a metà altezza, come pure la base della Tofana di Rozes e delle 5 Torri. 5 torri Picco di Vallandro Gruppo del Sella Sett Sass Tofana di Rozes Con il Norico, 223 milioni di anni fa, in un mare basso e caldo, in continua subsidenza, si deposita metro dopo metro una potente successione di dolomie stratificate, la Dolomia Principale (il suo spessore è di ben 1000 metri) che oggi costituisce alcune delle cime più famose delle Dolomiti Bellunesi: le Tre Cime di Lavaredo, il Cristallo, il Pomagagnone, la Croda da Lago, le 5 Torri, la Civetta e molte altre ancora. Giungiamo così alla fine del Trias e all’inizio del Giurassico: tutta l’Italia è coperta dal mare ed il clima diviene umido, di tipo marino. Non ci sono più dolomie o depositi salini, ma calcari grigi, ben stratificati, di cui sono costituite le parti sommitali di: Pelmo, Civetta, Antelao, etc.. Tra i 170 e 135 milioni di anni fa la regione sprofonda ulteriormente e si hanno depositi di Ammonico Rosso (un calcare caratterizzato della presenza di ammoniti), mentre con il Cretaceo, l’ultimo periodo dell’Era Mesozoica, si depositano le rocce più giovani della nostra regione (le Marne di Puez, materiali teneri e di colore grigio-verde). 3 Cime di Lavaredo Antelao Monte Civetta Cristallo Croda da Lago Monte Pelmo Pomagagnon All’inizio del cretaceo, 120-130 milioni di anni fa, ha inizio il processo orogenetico. Si depositano gli ultimi e più giovani sedimenti attualmente presenti nella regione Dolomitica, tutta la quantità di rocce, che abbiamo descritto e che ora vediamo svettare nel cielo, si trovava sepolta in fondo al mare di Tetide. Verso la fine del Cretaceo, cioè 70-80 milioni di anni fa, il continente africano cominciò ad avvicinarsi a quello europeo, determinando uno schiacciamento dei materiali interposti ed il loro conseguente innalzamento (orogenesi: nascita di una catena montuosa). Le Dolomiti iniziarono ad essere interessate da queste dinamiche circa 40 milioni di anni fa, ma è soprattutto negli ultimi 25 che si sono avuti effetti più forti, con un sollevamento tale da far emergere il tutto dal mare. Il maggiore e definitivo sollevamento si è avuto negli ultimi 4-5 milioni di anni fa. I corsi d’acqua hanno scavato ed inciso sempre più, finché sono comparsi a giorno i terreni Triassici e Permiani: le dure e resistenti Dolomie sono rimaste sempre più isolate, mentre le tenere rocce vulcaniche con i loro derivati sedimentari venivano spianate con facilità dando luogo a valli, passi e altopiani. Circa 2 milioni di anni fa, infine, le Dolomiti vengono ricoperte dai ghiacci, i quali daranno, così il loro fondamentale contributo alla geomorfologia della zona.

Nel corso del Permiano superiore si instaurò un ambiente desertico che portò alla formazione delle cosiddette Arenarie di val Gardena. I sedimenti che andarono a costituire tale formazione rocciosa derivano dalla disgregazione degli edifici vulanici del permiano inferiore. La continua azione delle piogge e dei venti portò al disfacimento e all’erosione degli strati superficiali che si accumularono in depositi di sedimenti dallo spessore variabile. I detriti, trasportati dalle alluvioni, andarono a colmare le depressioni mentre i venti trasportavano i sedimenti dalla granulometria più fine accumulandoli in dune di sabbia rossastra. La grana della roccia diminuisce, infatti, dal basso verso l’alto. Gli affioramenti più indicativi di questi terreni permiani sono rappresentati dal canion scavato dal “Rio delle foglie” il Bletterbach, il monte Seceda, il Passo Valles e il passo delle Erbe a Nord del Sass di Putia. Su questo territorio si muovevano alcuni antenati dei più famosi dinosauri che domineranno la terra nell'Era successiva: il Mesozoico. Il canion del Bletterbach e Butterloch rappresenta il più importante sito al mondo per il ritrovamento di numerose tracce di tetrapodi del permiano superiore. Tra i resti fossili di queste località, particolarmente interessanti sono i segni lasciati dalle onde sulla spiaggia (ripple mark), i segni lasciati dalle gocce di pioggia sulla spiaggia, i segni del fango rinsecchito, ecc...


BletterbachRipple mark
Spessore Arenarie Val Gardena

Al termine del Permiano si ha una trasgressione marina e la conseguente trasformazione di queste zone desertiche in bagnasciuga con la conseguente deposizone di evaporiti. La successione di strati chiari (gessi evaporitici) e depositi scuri marini che caratterizzano queste rocce vanno sotto il nome di strati a Bellerophon (dal nome di un mollusco caratteristico di questa formazione) e sono ben evidenti nei pressi del Sass de Putia (nei pressi del Passo delle Erbe), nel canion del Butterloch, sul Seceda, ecc...


Schema BellerophonSass de Putia
Bellerophon sp.

Il passaggio dal Permiano al Trias rappresenta una delle date miliari della storia della Terra, in quanto rappresenta il passaggio dall'Era Paleozoica al Mesozoico. Come tutti i passaggi tra due Ere geologiche anche questo è cararterizzato da importanti estinzioni di massa, ben più imponenti di quella successiva, ma ben più famosa, in cui scompariranno i dinosauri. Tale passaggio è ben visibile alla testata del Butterloch (sotto il Corno Bianco) ed è riportato in foto (B e W stanno ad indicare gli strati del Bellerophon e del Werfeniano).

Passaggio Permiano TriasEstinzioni
La Terra durante il Triassico inferiore

Successivo al Bellerophon è il Werfen dei cui diversi membri sono caratteristici fossili guida quali la Claraia Clarai, gli Asteroidi (stelle marine), la Natiria costata e ammoniti quali la Tirolites cassianus. Si tratta di depositi prettamente marini, come testimoniano chiaramente i resti fossili. Si tratta di una delle prime avvisaglie del progressivo sprofondamento di questa porzione di placca continentale che porterà, durante tutto il triassico a condizioni di mare sempre più profondo, tranne una breve interruzione durante l'Anisico.

Membri degli strati di Werfen
Asteroide
Claraia clarai

Alla fine del Werfen hanno origine le prime formazioni carbonatiche dovute ad esseri viventi: la Dolomia del Serla ed il calcare di Contrin.

Dolomia del Serla, alghe Diplopore

Successiva è la Dolomia dello Scilliar. I coralli sono colonie di piccolissimi animali marini che per vivere hanno bisogno di rimanere sott'acqua, ma hanno anche bisogno della luce del sole. Per questo motivo non possono sopravvivere a grandi profondità, ma solamente in prossimità del pelo dell'acqua per pochi metri al di sotto di questo. Lo sviluppo di questi animali però, in caso delle adeguate condizioni di vita (come avvenne nei caldi mari del Ladinico), può essere molto veloce e dato che, in questo periodo, esso superava la velocità di subsidenza l'unica possibilità era di svilupparsi in orizzontale appena sotto il pelo dell'acqua. Lo sviluppo di queste lunghe appendici molto delicate ne determinava periodicamente la rottura e il loro accumulo ai piedi dell'atollo corallino. Il meccanismo di innalzamento (verticale) dei corali verso la luce indotto dalla subsidenza si dice aggradazione e determina la formazione di stratificazioni orizzontali, parallele al pelo dell'acqua; mentre la crescita orizzontale indotta dall'accumulo dei "rami rotti" porta alla formazione di piani inclinati di scarpata ai bordi degli atolli aggradanti (progradazione).

Meccanismi di Aggradazione e ProgradazioneSequenza satratigrafica del catinaccio

Il fenomeno dell'aggradazione è visibile in maniera spettacolare nella zona centrale del Latemar con la sua stratificazione perfettamente orrizzontale. Mentre la progradazione degli atolli corallini del Ladinico è ben riconoscibile nei "Maerins" (i "Gemelli") ben visibili in Val S.Nicolò, semisommersi dalle rocce vulcaniche del Buffaure. Nell'immagine del Catinaccio riportata sopra, è possibile seguire tutta la sequenza stratigrafica dal Werfeniano (la parte bassa in parte coperta dall'erba) fino alla Dolomia dello Scilliar che ne caratterizza la parte sommitale, al di sopra della grande cengia basale. Le rocce relativa ai vari periodi sono state evidenziate con le diverse colorazioni: Conglomerato di Richtofen, Calcare di Contrin, Strati di Livinallongo, Dolomia dello Scilliar.

Stratificazioni orizzontali del LatemarMaerins i Gemelli
Vista di Punta PeniaFossili del calcare della Marmolada

E' curioso osservare inoltre come i gruppi "dolimitici" siano in realtà costituiti in parte sì da Dolomia, ma in buona parte anche da Calcare. Tipico esempio ne è la Marmolada, la "Regina" delle dolomiti, interamente costituita da rocce calcaree. Il perché questo si sia verificato va cercato nei meccanismi di formazione della Dolomia.

Distribuzione Calcare e Dolomia

Nelle Dolomiti l'attività vulcanica riprese nel corso del Ladinico. Circa attorno ai 230 milioni di anni fa si ha, infatti, la formazione di due edifici vulcanici, uno nei pressi di Predazzo e uno in Val S.Nicolò (in rosso nel disegno sopra) la cui attività portò alla fuoriuscita di una notevole quantità di lava e tufi, ricoprendo così le scogliere marine e riempiendo i bacini marini. Alcuni begli esempi sono rappresentati dai Maerins (I Gemelli) della val S.Nicolò (già visti prima) ricoperti dalle lave ladiniche del Buffaure. Altro risultato della ripresa attività vulcanica sono i numerosi e ben evidenti dicchi che attraversano il Latemar e che sono dovuti ad infiltrazione di materiale magmatico all'interno delle rocce preesistenti (in questo caso il calcare del Latemar). Gruppi interi sono nati grazie a questi fenomeni vulcanici, ne sono esempio, tra gli altri, la catena del Padon, il Monte Pore, il Col di Lana ed il Buffaure.

Dicchi vulcanici verso cima SchenonCol di Lana e Monte Sief

Dolomia Cassiana. Si tratta di dolomie sviluppatesi essenzialmente per progradazione a causa della quasi totale assenza di subsidenza che ne impediva l'aggradazione. Esse sono quindi facilmente riconoscibili perché clinostratificate. Non solo, rispetto alle scogliere pre-vulcaniche quelle cassiane sono più ricche di coralli. Ne sono esempio il Sassolungo, la parte bassa e massiccia del Sella, il SettSass, il Lagazuoi, il Sasso di Stria ed il Nuvolau, il Monte Piana ed i Cadini di Misurina, ecc...
Tutte queste famose "scogliere" cassiane, in realtà, erano state precedute nel loro sviluppo da una serie precedente di scogliere, sempre di età carnica. Queste scogliere preesistenti non arrivarono a svilupparsi come le successive perchè annegate a causa di un rapido aumento del livello del mare. L'esempio più bello è rappresentato dal cosiddetto Richtofen Reef, cioè il Piccolo SettSass che si vede in figura.

Sistema di sviluppo della Dolomia CassianaVeduta aerea del piz Ciavazes

Nei bacini che circondano queste nuove piattaforme di età carnica si vanno depositando i prodotti dell'erosione degli edifici vulcanici del tardo ladinico, è così che ha origine la Formazione di S.Cassiano, famosissima per i fossili che vi si trovano. Si tratta di una miriade di specie differenti; tutti gli esemplari sono di piccole dimensioni (tanto che si parla di fauna nana), ma caratterizzati da una conservazione eccezionale. Tipici esempi sono l'Alpe di Specie, a Nord di Cortina d'Ampezzo, Pralongià presso S.Cassiano, la zona del Passo Sella e del Passo Pordoi, ecc...

Settsass e piccolo SettsassTrachyceras sp.

Sul finire del Carnico si ha un'ulteriore accelerazione della subsidenza e un abbassamento del livello del mare che porta alla formazione di depositi sottili vivacemente colorati, gli strati di Raibl. Uno dei più spettacolari effetti degli strati di Raibl sui paesaggi dolomitici è costituito dalla formazione di cenge (a causa della loro scarsa consistenza) che separano le compatte Dolomie Cassiane dalle stratificazioni della successiva Dolomia Principale (la parte sommitale del Gruppo del Sella, Piz Ciavazes, ecc...). Oltre a questo anche il colore rossastro dei terreni risalenti a questo periodo è molto caratteristico. Tipico fossile guida di questo periodo è il bivalve Myophoria kefersteini. Tipici, oltre alla cengia che taglia a metà altezza il gruppo del Sella (come la parte sommitale del Piz Ciavazes), sono la base della Tofana di Rozes (e parte della testata della Val Travenanzes) anche tutta la piana erbosa che va dal Passo falzarego alle Cinque Torri.

Formazione di Raibl alla base della Tofana di RozesMyophoria kefersteini
Gruppo del Sella, Dolomia Cassiana e Dolomia Principale separate dalla cengia degli Strati di Raibl

Sopra gli strati colorati caratteristici della formazione di Raibl si ha la formazione delle pareti verticali che hanno reso famose le Dolomiti (Tofana di Rozes, Tre Cime di Lavaredo, Campanil Basso, ecc...), si tratta della Dolomia Principale. Tipici fossili di questo periodo sono il Neomegalodon guembeli e la Worthenia contabulata (ex Worthenia solitaria). Il periodo geologico di queste formazioni è il Norico.

Il Campanil Basso
Neomegalodon gumbeli
Worthenia contabulata

Oltre la Dolomia Principale del Norico si ha l'ultimo periodo del Trias: il Retico, di cui però non si hanno così ampie tracce come nei casi precedenti (Sasso della Croce????).
Oltre si passa ormai ai calcari Grigi (parte sommitale di Pelmo, Antelao e Civetta) del Giurassico e quindi al Rosso Ammonitico di cui sono presenti tracce sulla Furcia Rossa e altre zone. Le formazioni del Cretaceo si limitano a ristrettissime zone sul Puez (Marne del Puez) al Col del Soné e nella zona di Ra Stua (??). Nonostante la loro presenza molto scarsa anche gli strati del Cretaceo delle Dolomiti sono divenuti famosi per la ricca fauna di ammoniti "aberranti" rinvenute nelle cosiddette Marne del Puez.


La Terra durante il Giurassico superiore
Pista ROLM1Colatoio Chemini
ROLM201 impronta di carnivoroFormazione di un'impronta fossile

L’evoluzione paleogeografica del Plateau di Trento, ora corrispondente alle Prealpi Venete Occidentali, inizia nel Lias Inferiore con lo stabilirsi di un’ampia piattaforma carbonatica di tipo bahamiano dove la rapida subsidenza era controbilanciata da un’attiva sedimentazione. Si trattava di cosidette piane tidali o di marea i cui fondali potevano periodicamente emergere per poi sprofondare nuovamente sotto il pelo dell'acqua. Durante questo periodo si ebbe la deposizone dei “Calcari Grigi di Noriglio” del Lias Inferiore e Medio. La presenza di zone emerse di una certa importanza è ben documentata dalle impronte dinosauriane rinvenute ai Lavini di Marco presso Rovereto. Anche i vegetali rinvenuto all'interno del membro di Rotzo e descritti già nel 1764 dall'abate Agostino dal Pozzo e poi dettagliatamente studiati da De Zigno indicano chiaramente un ambiente terrestre. Mentre gli strati a Lithiotis problematica, tipici dei Calcari Grigi, sono chiara espressione di un ambiente marino. Questa condizione di precario equilibrio tra terra e mare però stava per avere fine già verso la fine del Giurassico inferiore, quando si ebbe lo sprofondamento delle zone circostanti la piattaforma di Trento, fenomeno che portò alla formazione dei bacini Lombardo (a ovest) e di Belluno (a est). Rimase quindi nel mezzo il cosiddetto Plateau di Trento. I calcari formatisi in questo periodo tendono quindi a diversificarsi e, lungo la fascia occidentale della piattaforma di Trento (dalle Dolomiti di Brenta alla valle dell'Adige) si andò depositando la cosiddetta ”Oolite di Capo S.Vigilio” che risale al Lias Superiore (Toarciano-Aaleniano) e che non è quindi presente nella zona centrale (Altipiano dei Sette Comuni e parte dei Monti Lessini). Sull'Altipiano dei Sette Comuni, infatti, il successivo Rosso Ammonitico Veronese poggia direttamente sui sottostanti Calcari Grigi. Dalla fine dell’Aaleniano (localmente anche prima) i rate di subsidenza e di sedimentazione subirono un’improvvisa interruzione, mentre la parte centrale della piattaforma che ora corrisponde all’area dei Sette Comuni, era una zona emergente, nella forma di una lunga, piatta isola, dall’&inizio del Toarciano.

Suddivisione stratigrafica dei Calcari GrigiVegetali del Membro di Rotzo

Poco prima della fine del Bajociano, il Plateau di Trento sprofondò e si trasformò in un rigonfiamento pelagico intrasinclinale, in cui iniziò a formarsi l’”Ammonitico rosso veronese”. Si tratta questa, di una formazione caratteristica di acque molto profonde (anche 1000 metri), formatasi in condizoni di sedimentazione molto scarsa (meno di 1 mm ogni 1000 anni). Tra la fine della deposizione carbonatica massiva di tipo bahamiano e lo sprofondamento della piattaforma si ha la deposizione degli Strati a Posidonia alpina. La formazione di questi strati a lumachella fu sporadica sia nel tempo che nello spazio ed ebbe luogo in un periodo di subsidenza estremamente ridotta, principalmente durante il bajociano inferiore e l‘inizio di quello superiore.

Lumachella a Posidonia alpina

Con la fine del Giurassico si ha la deposizione di fanghi calcarei molto sottili che portano alla formazione di rocce bianche, da cui il nome di "Biancone". Siamo ormai nel Cretaceo. Tali rocce sono caratterizzate da frequenti intercalazioni di selce (strati con struttura nodulare).


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